Scusateci tutti, Emmanuel e Chinyery
Da qualche parte tra qualche giorno, probabilmente qualcuno avrà un cuore nero che gli batte nel petto bianco. Da qualche parte tra qualche giorno qualcuno potrà tornare a guardare il mondo con due occhi neri, di quel nero che hanno solo gli uomini nati nell’anima dell’Africa. Da qualche parte tra qualche giorno qualcuno tornerà a vivere grazie alla morte dell’uomo nero.
Che si chiamava Emmanuel e aveva 36 anni. Ma questo lo sapete già. Come sapete che ad ammazzarlo è stato un “uomo bianco”. Uno che della violenza aveva fatto uno stile di vita: un ultrà razzista che era stato tenuto lontano dagli stadi per 4 anni. Una belva capace di spappolare il cervello a un altro essere umano un calcio dopo l’altro.
Un calcio in testa dopo l’altro fino a spaccarla quella testa. Senza pietà davanti a un uomo che ormai era incapace di difendersi, abbandonato a terra come un pupazzo di stracci intrisi di sangue. Un uomo che aveva avuto l’unica colpa di difendere sua moglie, che il suo assassino aveva chiamato “scimmia”, perché ormai qua in Italia vale tutto, se è vero che non troppo tempo fa lo stesso appellativo veniva rivolto a un ministro della Repubblica.
Che alla fine siamo arrivati a questo, inanellando offese travestite da battute di spirito. Siamo arrivati a raccontare di un uomo che era passato attraverso l’inferno in terra delle stragi di Boko Haram in Nigeria, attraverso le botte e le torture della Libia, attraverso il mare che ammazza con la precisione di un cecchino, per finire morto pestato di botte da un disgraziato che si sente minacciato dal colore nero della sua pelle.
Se Emmanuel è morto la colpa di questa morte non è solo e non è più esclusiva pertinenza della bestia che lo ha dilaniato di calci in testa e di pugni ovunque. Se Emmanuel è morto la responsabilità di questa morte va equamente ripartita tra il braccio violento della cieca idiozia e la “mente depravata” di coloro che recitano la litania degli immigrati che sono tutti terroristi, stupratori di donne bianche, che vivono alle spalle degli italiani brava gente. Bravissima sì: talmente tanto da allevarsi in seno figli folli di rabbia repressa. Nutriti a frustrazione e paura del diverso, questi figli. Allevati nella certezza che tutto ciò che non è previsto dalla routine della provincia è pericoloso.
Talmente bravi questi italiani da armarsi del coraggio vigliacco che serve per pestare a sangue anche la donna dell’uomo che hanno appena ammazzato. Perché sì, anche lei la “scimmia” Chinyery, 24 anni moglie di Emmanuel e mamma di un figlio ammazzato dai terroristi di Boko Haram, è stata massacrata di botte. Non al punto di morirne, ma quel che basta per non dimenticarle.
Per non dimenticare che se sei nera e hai le labbra carnose e il naso schiacciato sei buona per battere a 20 euro a prestazione. Incastrata in una minigonna che rivela al mondo (maschio e bianco) che il piacere si può avere a poco prezzo e senza impegno. Per non dimenticare che tu, donna nera sei una “scimmia” e qua, tra noi bianchi che le labbra le abbiamo sottili e siamo disposti a pagare migliaia di euro per averle come le tue, sei ospite sgradito.
Per non dimenticare le grida di tuo marito che veniva ammazzato mentre cercava di difenderti dagli insulti. Che per lui tu eri la più bella del mondo e nessuno, nessuno, doveva permettersi di umiliare la tua bellezza. Per non dimenticare mai, neanche per una frazione di secondo, il corpo immobile in mezzo alla strada di quell’uomo con cui avevi affrontato il peggio della vita. Che pensavi fosse finito e invece doveva arrivare. E non aveva mitra, e non vestiva divise raffazzonate di un esercito irregolare, e non aveva la pelle del tuo colore. Il peggio era un uomo bianco che si sentiva forte del colore della sua pelle, della fede nel suo Dio (e non sapeva che era lo stesso a cui tu e tuo marito rivolgevate le vostre preghiere) della musicalità della sua lingua, del suo piatto di pasta al forno senza spezie della domenica a pranzo. Il peggio era un uomo bianco che t’ammazzava sotto gli occhi il marito e che tentava di giustificare l’ingiustificabilità del suo gesto raccontando a chi lo aveva arrestato che voi stavate guardando dentro le macchine parcheggiate. Sì a rubare due autoradio… Come no.
Il peggio è che quel che resta di tuo marito, un po’ di organi miracolosamente sopravvissuti al pestaggio, forse (che la burocrazia in Italia è una roba seria) non servirà ad assolvere nemmeno quel desiderio così umano che avevate: dare la vita attraverso la morte. Che, sì lo sappiamo tutti, il cuore, il fegato, i reni, la milza e le cornee non hanno colore e se ce l’hanno va bene lo stesso. Perché quando si tratta di salvare la vita a un uomo bianco va bene anche quel che resta di un uomo nero.
Che noi siamo italiani brava gente e non siamo mica razzisti, quando mai? Basta che li aiutiamo a casa loro quelli come voi. Come te ed Emmanuel. Che poi, alla fine io vorrei anche capire come si fa ad aiutare a casa propria chi in casa ha il terrore di Boko Haram, del Daesh, dei mitra e delle granate, delle autobombe e dei kamikaze. Vorrei proprio capirlo. Ma non ho ancora trovato qualcuno in grado di spiegarmelo.
Ti chiedo scusa io Chinyery, ti chiedo scusa a nome di tutti gli uomini e le donne di questo mondo che ha fatto di te la vedova di un uomo per bene.
di Deborah Dirani
da huffingtonpost.it